Libera Città di Radboon

Copyright © Stefano Innocenti 1998

Guardo fuori dal finestrino, ma i deboli fari delle camionette dell'esercito mi permettono di vedere solo un breve squarcio di arida pianura. Non riesco ad addormentarmi, ed ormai sono perfino stanco di provare. Il sedile è molto scomodo, e i mille pensieri nella mia testa fanno un baccano infernale. Ancora una volta mi sorprendo a chiedermi se tornare dopo tanto tempo sia stata la cosa giusta da fare e, ancora una volta, riconosco che non avevo scelta.

So che a poche decine di chilometri da qui, verso est, si trova il posto che ha segnato tutta la mia vita. La Libera Città di Radboon. O, quanto meno, quel che ne rimane. Non so immaginarmi come sarà ridotta, dopo la guerra e tutti questi anni di abbandono. Sinceramente, spero che non sia rimasto molto. E comunque, sarà sempre troppo.

Un piccolo jet da ricognizione passa rombando sopra le nostre teste, diretto verso la città. Evidentemente, l'Alto Comando vuole essere sicuro che nessuno abbia bloccato la strada alla nostra colonna.

Chiudo gli occhi per un istante, e dentro di me rifluiscono i ricordi di quella tragica giornata di quarantotto anni fa...

Due caccia-bombardieri sfrecciano nel cielo, il ventre carico di bombe incendiarie. I ragazzi dell' aviazione ci stanno aprendo la strada con le maniere forti. Il cielo è quasi oscurato da alte colonne di fumo nero. Quando atteccheremo, fra sei ore, dovremo stare molto attenti ai focolai d'incendio. Per adesso, comunque, ci è stato concesso di rilassarci. Abbiamo montato il nostro piccolo campo-base in questo parco alla periferia della città, e ognuno di noi sta cercando un modo per far passare il tempo. Personalmente, ho appena terminato di controllare i sensori della mia tuta d'assalto. E' la prima cosa che ti insegnano a fare, al centro addestramento, e anche quella che raccomandano di fare più spesso.

"Ehi, sgobbone, che ne dici di rilassarti un po', per una volta?" Sachs si siede vicino a me, porgendomi una tazza colma di caffè bollente. Lo ringrazio con lo sguardo.

"Allora, Ray, che ne pensi ?" mi chiede.

"Di cosa, amico ?"

"Bhe, che diavolo, dell' attacco. E di che altro ? Finalmente avremo la possibilità di friggere qualche Ratto, e di dimostrare quello che valiamo. Sono stufo di essere trattato come la mascotte della squadra da quel grosso coglione del tenente Martino.

Siamo Lupi anche noi, no ? Siamo macchine da guerra, come tutti gli altri."

"Sai bene anche tu che il tenente non vuole far correre rischi stupidi ai suoi uomini, specialmente se sono soltanto delle reclute. E poi non mi dispiacerebbe tornarmene a casa senza neanche un graffio, sai ?"

"Uhm" mormora, mandando giù una boccata di caffè "questo potrà andar bene per te, che sei qui perché ti ci hanno costretto. Ma io sono venuto volontario, amico. Intendo fare carriera fra i Lupi Rossi. E credo che non esista posto al mondo migliore di Radboon per questo."

"Contento tu. Onestamente, non capisco il tuo entusiasmo. Ci hanno spediti qui per sedare una rivolta civile. Una volta là dentro, dovremo sparare anche su donne e bambini. Questi sono gli ordini, e non posso certo dire di esserne entusiasta."

"Guarda che se ti sentono parlare così finisci al fresco di sicuro."

"Ecco, meglio. Almeno non corro il rischio di farmi sparare...Ehi! Che cazzo combini ?"

Osservo stupefatto Sachs, che ha preso da una tasca dello zaino un flacone di pillole, e ne ha inghiottite una manciata con il resto del suo caffè.

"Tutto regolare, mammina. Sono solo semplici psicostimolanti. Me li hanno passati i ragazzi della tenda ospedale. Perfettamente legali. Ne vuoi ?"

"No, grazie tante. Piuttosto, sei propio sicuro che non ti manderanno in pappa il cervello ?"

"Ma sì, ma sì. Che palle che fai !"

Sachs si alza, e si dirige verso un piccolo capannello di veterani che si è formato poco più in la. E' davvero molto eccitato all' idea di combattere, ed è deciso a farsi onore ad ogni costo.

Torno all' analisi dei sensori della tuta. Controllo anche le articolazioni ausiliarie ed i sistemi vitali. Non mi sento tagliato per giocare all'eroe come Sachs. Sinceramente, la mia unica preoccupazione è quella di restare vivo.

Indosso i guanti della tuta ed il casco corazzato, e provo a muovermi un po' in giro. Tutto a posto. Finalmente tranquillo, decido di andare a prendermi qualcosa da mangiare alla tenda refettorio. Il menù di oggi comprende anche una bella fetta di torta al cioccolato e un cicchetto di liquore, oltre alla solita sbobba. Evidentemente, qualche pezzo grosso deve aver deciso di tirarci su il morale prima della battaglia.

Improvvisamente, nel tendone si crea un certo trambusto. L'attenzione di tutti è rivolta verso alcuni camion militari che stanno faticosamente risalendo la collinetta che si trova nella zona sud del parco. Sono carichi fino all' inverosimile. Ma non di altri soldati, o di materiali: questi camion stanno trasportando i primi civili che sono stati fatti prigionieri a Radboon.

I camion si sono fermati a poche decine di metri dalla tenda ospedale, e si è già creato un consistente capannello di curiosi.

Non molti di noi, prima di oggi, hanno mai visto da vicino un modificato.

I modificati (ma noi li chiamiamo Ratti,perchè hanno i loro rifugi nelle fogne) sono esseri umani che si sono sottoposti a speciali trattamenti farmacologici che hanno permesso loro di lavorare senza problemi nelle condizioni proibitive delle miniere attorno Radboon. Il procedimento di "modificazione" è stato messo a punto da una equipe medica governativa, ed è stato impiegato nelle situazioni più diverse, addirittura nelle stazioni orbitanti.

Alcuni soldati stanno aprendo i cassoni dei camion, ed i primi Ratti stanno cominciando a scendere.

Per un attimo, resto a bocca aperta.

Non so, mi aspettavo di vedere individui possenti, uomini e donne con muscoli poderosi, delle vere e propie biomacchine.

Questi, invece, sembrano tanti spaventapasseri. Sono tutti piuttosto alti, e quindi la loro eccessiva magrezza li fa apparire ancora più strani. Hanno volti allungati, segnati dalla fame e dalla stanchezza. Molti sono feriti o mutilati. Capisco che a Radboon deve essere successo molto più di quello che i cronisti hanno riportato. Tutti sapevamo che i modificati erano sottoposti a turni di lavoro molto duri, ma questa gente non può essersi ridotta così nei quattro giorni del nostro assedio. Comincio a capire perché si sono ribellati con tanta violenza.

"Ehi, schifosi, è finita la pacchia, vero ? E non avete ancora visto il peggio! Vi stermineremo come i topi di fogna che siete!" grida un soldato alle mie spalle, rompendo lo strano silenzio che si era creato.

Tutti cominciamo ad urlare improperi ai prigionieri. Vola anche qualche sasso. Ci aspettavamo di dover combattere dei superuomini, ed invece ci troviamo di fronte a dei relitti. La vista delle loro condizioni ci da la certezza della vittoria.

Intervengono alcuni uomini dei corpi di guardia, creando un cordone fra noi e lo sparuto gruppetto dei modificati.

Solo adesso mi accorgo di una cosa: nessuno di loro si è lamentato, nemmeno quelli centrati dalla sassaiola. E nemmeno sembrano impauriti da noi. Semplicemente, si limitano a fissarci, lo sguardo carico di odio. Proprio questo accende ancora di più la rabbia dei soldati. Alcuni sono riusciti ad oltrepassare il cordone di sicurezza, e si sono gettati sui primi Ratti che sono capitati loro a tiro. Si sta scatenando un pestaggio furioso. Molti altri soldati stanno correndo nel punto in cui si trovano i camion, per cercare di separare i loro commilitoni dai civili. Un anziano capitano estrae la pistola dalla fondina, e spara qualche colpo in aria. "State fermi, brutti figli di puttana. Se avete tanta voglia di uccidere, conservatela per il combattimento. Questi sono prigionieri, e come tali verranno trattati. Fermi, o vi freddo come cani !"

La sfuriata del capitano serve a calmare gli animi. I modificati sono rapidamente scortati in una zona del campo più tranquilla, mentre alcuni soldati vengono messi agli arresti. Nello scontro, quattro modificati sono rimasti al suolo, privi di vita. Uno di loro è un ragazzino che non può avere più di dodici anni.

Rimango fermo al mio posto, incapace di muovermi, troppo scosso dalla cieca furia mostrata dai miei compagni. Negli ultimi giorni, i media hanno cercato di dare l'immagine più meschina possibile dei modificati, usando anche i mezzi più bassi, ma nonostante questo, credo che continuino a fare molta paura, con la loro inumana diversità. Lo dimostra la scomposta reazione alla loro presenza di un gruppo di ragazzi che fanno parte di quella che è considerata l'elite dell'esercito.

Uno spintone mi strappa ai miei pensieri e mi riporta alla realtà. Colto totalmente di sorpresa, finisco malamente a terra. Alzo gli occhi, e vedo che un soldato dei corpi di guardia mi sta puntando addosso il fucile.

"Vattene, amico. Non c'è più niente da vedere." mi dice.

Mi affretto a seguire il suo consiglio. Decido di dirigermi verso il dormitorio. Sento il bisogno di sdraiarmi e riflettere.

"Lovelock, vieni qui !" Voltandomi, scopro che a chiamarmi è stato il tenente Martino.

"Agli ordini, signor tenente" esclamo, scattando sugli attenti.

"Lovelock, ci è stata affidata una missione particolare. Cerca di radunare gli altri al più presto, ci vediamo tra venti minuti nella tenda comando."

"Sarà fatto, signore."

Meno di un quarto d'ora dopo, tutti i quindici uomini dell' undicesima squadra sono schierati davanti al tenente.

"Molto bene, lupetti" dice il tenente "ho una bella sorpresa per voi. Come sapete, fra poco più di quattro ore, le nostre truppe attaccheranno Radboon, passando dalla periferia nord. Quello che invece non sapete, è che noi non saremo lì."

Un mormorio di sdegno si leva dal gruppetto di soldati. Ognuno di questi ragazzi aveva sperato di fare qualcosa di importante qui a Radboon, e invece...Osservo Sachs, che è seduto accanto a me: ha una espressione sgomenta, e sta imprecando sottovoce. Intanto, il tenente Martino sta cercando di riportare la calma con ampi e teatrali gesti della mano.

"Silenzio, ragazzi. Fatemi finire. Noi non ci troveremo con il contingente d' attacco semplicemente perché l' Alto Comando vuole che svolgiamo una missione particolare. I nostri aerei-radar hanno individuato una stazione per trasmissioni radio, nella zona sud della città, e si teme che i Ratti la possano usare per comunicare con i loro compagni in altre città. Dai primi rilevamenti, non sembra particolarmente ben difesa. A noi toccherà il compito di farla saltare. Va da sé che, se faremo tutto per bene, la nostra squadra si guadagnerà la sua prima Cicatrice."

Un urlo di gioia rimbomba nella tenda. La "Cicatrice" è una speciale onoreficenza concessa a quelle squadre che hanno compiuto missioni di importanza strategica capitale. La nostra squadra, creata da poco, non aveva mai avuto l'occasione di guadagnarsene una . Ma adesso...

"Mi fa piacere vedere che la notizia vi entusiasma. Ci ritroveremo qui fra tre ore esatte, in assetto da combattimento. Fino ad allora, siete liberi di andare."

Esco dalla tenda quasi per ultimo. Molti soldati stanno chiacchierando animatamente fra loro. Non si può certo negare che siamo tutti molto eccitati.

In un angolo del piazzale che si trova di fronte alla tenda comando vedo Sachs, che sta discutendo con il caporale Hauten.

Mi avvicino a loro, per fare quattro chiacchiere. Sorprendentemente, l'argomento non è la Cicatrice.

"...Cristo, ma che schifo! Tu sei malato, amico, credimi. Come ti può saltare in mente una cosa del genere?" sta dicendo Sachs. Le sue parole mi fanno capire che forse mi sono intromesso in una discussione personale ma, vedendomi, il volto del caporale si allarga in un sorriso.

"Oh, Raymond! Stavo spiegando a Sachs una cosa, ma credo che sia troppo stupido per capire. Vediamo se tu sei un po' più sveglio. Dimmi: che te ne pare delle modificate?"

"Bhe', caporale, per quello che ne sappiamo, credo che siano abituate a combattere al fianco dei loro uomini. Abbiamo rapporti che testimoniano l'esistenza di piccole pattuglie o squadre composte interamente da donne modificate, ma..."

"No, no, non mi hai capito. Sto parlando di sesso, Ray."

Sgrano gli occhi, stupito, e il sorriso del caporale si trasforma in una risata sguaiata."Ah, Gesù, Gesù, siete davvero dei ragazzini. Ascoltatemi: potete credere a tutta la merda che mandano in televisione, se volete. Ma io so quello che dico. Sono stato sulla stazione orbitante Promise, durante la mia ultima licenza. Lì c'è un bordello che offre veramente tutto, perfino un paio di ragazze modificate. Ho voluto provare, e certamente non me ne sono pentito. Quello che riescono a farti quelle puttanelle, le altre ragazze nemmeno se lo sognano."

"Tu fai come ti pare, caporale, ma io non rischio di certo la vita per una semplice scopata. Chissà che razza di virus possono attaccarti quelle cagne!" sbotta Sachs.

"Per i virus, basterebbe usare un preservativo." gli rispondo, "e poi, a quanto pare, questa scopata dovrebbe essere un'esperienza unica..."

Hauten mi assesta una gran pacca sulla spalla. "Giustissimo! Mi fa piacere vedere che la pensi esattamente come me, Ray. Allora, stammi a sentire: visto che abbiamo tre ore libere, che ne diresti di spassarcela un po' ?"

"Volentieri, ma non vedo come..."

"Ma dico io, non ce li hai gli occhi? Eri al cesso, quando sono arrivati i camion con i prigionieri? Dai, seguimi, prima che a tutti venga la mia stessa idea."

"Ma..."

"Poche storie, Lovelock. Se ti caghi sotto, è meglio che resti qui."

"Un Lupo Rosso non si caga mai sotto, Hauten." rispondo brusco, anche se la sua idea non mi entusiasma.

In pochi minuti, arriviamo nella zona del parco dove si trovano i prigionieri. Alcuni di loro stanno montando delle tende per la notte, ma i più si sono rassegnati a dormire sul nudo terreno. Gironzoliamo lì attorno per un po', e ci avviciniamo non appena siamo sicuri che nessuna sentinella ci stia osservando. Il caporale Hauten osserva i modificati con aria disgustata.

"Dubito che riusciremo a trovare qualcosa di decente tra questi cadaveri ambulanti." gli dico.

Annuisce pensoso, ma dopo un attimo si ferma ed esclama: "Errore, Raymond. Ecco là la nostra compagna di giochi."

Guardo nel punto dove sta indicando, e per un attimo rabbrividisco.

"Ma se è solo una ragazzina, caporale!"

"Bhe, avrà la sua bella fighetta anche lei, no? Adesso cuciti la bocca, e guarda come si fa, novellino."

Si infila una mano nella tasca della giubba, e ne estrae una fetta di torta al cioccolato, ancora avvolta nel cellophane.

"Ehi, tu. Ti andrebbe un bel pezzo di dolce?"La ragazzina si avvicina correndo, e cerca di strappargli il pacchetto dalle mani.

"Oh oh, che fuoco la signorina! Con calma, amica mia. Avrai il premio solo se ci farai divertire un po'." Così dicendo, comincia ad infilare la mano libera sotto i pochi stracci che la piccola indossa. Mi volto, per non essere costretto a vedere altro. Riesco ad immaginare fin troppo bene quello che succederà adesso.

"Merda!" Ad urlare è stato Hauten. Ha in una mano la lacera camicetta della ragazza, e un' espressione sorpresa sul volto.

Ha appena scoperto che la sua "amica" ha al posto del seno sinistro solo una cicatrice sanguinolenta, residuo di una recente ferita. "Merda" continua ad urlare "guarda un po' che schifo!" Così dicendo, lascia cadere la camicetta ed il pacchetto, che la ragazzina si sbriga a raccogliere. Hauten si riprende in fretta dalla brutta sorpresa, e l'afferra per un polso.

"Dovevi dirmelo, puttana, che non eri tutta giusta! Volevi fregarmi, vero? Ma adesso ci penso io."

Alza la mano, e colpisce in pieno viso la ragazzina, che rotola a qualche passo di distanza da lui. Hauten le si avvicina e la tira in piedi, deciso a colpirla ancora. "Cristo, caporale, basta! Ti sei già vendicato!" gli grido.

"Eh no, è bene che questa troietta impari subito l'educazione. Vedrai che la prossima volta ci penserà due volte prima di..."

Da dietro un cespuglio, sbuca improvisamente qualcuno. Per nostra fortuna, non si tratta di una sentinella, ma di una donna Ratto. Ha il viso completamente ustionato, e dove un tempo doveva esserci il naso, ha solamente un'escrescenza carnosa.

Si avvicina ad Hauten con passo spedito e gli strappa la bambina dalle mani, senza dire una parola. Nella sua espressione non vi è la minima traccia di timore. Il caporale è troppo scosso dall'aspetto della donna per cercare di reagire in qualche modo.

Osserva le due modificate allontanarsi, inebetito, poi comincia ad urlare: "Ma sì, ma sì, andatevene pure. Ma non crediate che mi dimenticherò di voi. Stiamo per saldare i conti, con la vostra razza bastarda. Creperete tutti, brutti scherzi di natura. Vi useremo come cavie per esperimenti ! Prima riprenderemo Radboon, e poi..." A forza di urlare, la voce gli si spezza in gola. Ha il volto rosso e congestionato. Mi avvicino a lui e lo afferro per un braccio. "Piantala, Hauten. Se continui ad urlare così ci scopriranno. E poi è ora di tornare alle camerate." Mi guarda brevemente, e annuisce. "Li distruggeremo tutti." ripete ancora, con voce tremante

Circa due ore dopo, l'undicesima squadra della terza compagnia dei Lupi è schierata davanti alle camerate, pronta per la missione. Il tenente Martino ci sta passando in rivista.

"Molto bene, ragazzi. Sembrate davvero a posto, nelle vostre tute d'assalto tirate a lucido." Mentre parla, uno strano ghigno gli si disegna sul volto. " Ma una volta là fuori, siete sicuri che avrete il fegato necessario ad uccidere senza pietà? Sarete capaci di distruggere quei dannati topi di fogna, come vi si chiede?" La nostra risposta è un solo unanime "Sì!".

"Fatemi sentire il fuco che avete nelle ossa, soldati! Fatemi sentire per che cosa combattete!"

Il discorso del tenente ci ha galvanizzati, l' eccitazione è ben visibile sui nostri volti. Intoniamo l'inno dei Lupi:

"Abbiam di ferro il pugno

e ferro è il nostro cuore

Colpiremo col fuoco il nemico

metteremo a fuoco le sue città

Dal puro ferro e puro fuoco nascono i Lupi"

Saliamo su di un' aeromobile da trasporto. Non appena decolliamo, il tenente comincia a illustrarci gli ultimi dettagli, servendosi di una mappa elettronica della città.

"Scenderemo in questa piccola piazzetta interna. Quattro chilometri a nord della piazza troveremo uno dei ponti che attraversano il fiume Kiivy, che taglia Radboon in due. Poco oltre il ponte c'è un piccolo edificio in muratura di colore rossastro. Stando a quello che dice il servizio informazioni, la stazione per le comunicazioni è nascosta nei sotterranei dell'edificio. Noi dovremo solamente entrare e distruggerla. Tutto chiaro?"

Appena scesi dall' aeromobile, ci dispieghiamo in formazione di copertura. Come previsto, è tutto tranquillo. Credo che i Ratti sia troppo impegnati a spegnere gli incendi nella zona nord per occuparsi di noi.

"Budak e Sullivan in avanscoperta!" urla il tenente. "Gli altri in formazione serrata! Muoviamoci, ragazzi. Non possiamo starci tutta una giornata!"

Camminiamo per qualche centinaio di metri, tenendo costantemente sotto controllo le finestre degli edifici. Stando ai rapporti, i Ratti sono piuttosto esperti nelle tecniche di guerriglia, e i loro occhi, modificati per adattarsi alla carenza di luce delle miniere, li rendono cecchini temibili anche con armi antiquate.

"Tenente...Signore...venite a vedere, presto...è un macello..." La voce che sta risuonando negli elmetti di tutti è quella di Budak. Sta comunicando su una frequenza aperta, e questo non fa certo parte della normale procedura.

Ci affrettiamo a raggiungere gli esploratori, e comprendiamo il motivo del loro sgomento.

La stazione di polizia di Radboon Sud è stata data alle fiamme. Ma questo deve essere successo almeno un paio di giorni fa.

Quello che non può essere successo da più di qualche ora, invece, sono le crocifissioni.

Alla facciata dell' edificio sono infatti appesi i corpi di una decina di uomini, con ancora indosso le loro logore divise da poliziotti.

Hanno le mani e i piedi trafitti da dei grossi chiodi, probabilmente sparati da qualche attrezzo da cantiere. Chi ha fatto questo, comunque, non doveva avere molta familiarità con lo strumento: molti arti sono letteralmente spappolati, trapassati dai chiodi in più punti, e un corpo è ormai appeso solamente per un braccio. Il terreno sotto ai corpi è una uniforme palude di sangue.

Sulla porta dell' edificio c'è un cartello, scritto da una mano insicura, che spiega i crimini di quei poveracci :

"Oppressori della Libera Città di Radboon."

Vediamo che Budak è seduto per terra, con lo sguardo perso nel vuoto. Ha l'elmetto da combattimento in mano, ed il mitra appoggiato sulle gambe. Sullivan gli sta parlando, cercando di ottenere una qualche reazione.

"In nome di Cristo, soldato, che cazzo è successo qui?" gli chiede il tenente.

"Direi un'esecuzione, signore. Quei disgraziati alle pareti sono tutti morti, ho già controllato. Se invece si riferisce a Budak, bhe...ho paura che il suo cervello sia partito per un lungo viaggio."

"Uhm. E pensare che non è nemmeno un novellino." Si volta verso di noi, si alza la visiera dell' elmetto e ci fissa duramente. "Ora avete visto che cosa sono capaci di fare quelle bestie. Non dovrete avere pietà per loro. Voglio che vi ricordiate questa scena, voglio che ve la ricordiate per tutta la vita. Vi servirà da stimolo, in battaglia."

"Adesso" prosegue "pensiamo ad organizzarci. Treemain, resta qui con Sullivan e Budak. Ci ritroveremo al punto di rendez-vous tra due ore, come stabilito. Già che ci siete, ragazzi, cercate di staccare i corpi dal muro, va bene? Gli altri, con me. Abbiamo ancora un lavoretto da fare."

In mezz'ora arriviamo al ponte sul Kiivy. Non abbiamo incontrato Ratti sul nostro percorso, come previsto.

"Signor tenente, rilevo movimento nell'edificio-bersaglio." A parlare è stato Ancock, il soldato addetto al "lungo occhio", un analizzatore portatile di emissioni. "Armi?" "Non ne risulta nessuna, signore. Probabilmente sto rilevando gli addetti alla stazione di comunicazione, o qualche altro gruppo di civili."

"Non ci sono civili fra i Ratti, Ancock. Ricordatelo bene." Anche attraverso il microfono del mio elmetto, posso chiaramente sentire che la voce del tenente è alterata.

"Hauten! Patterson!" grida "montate la mitragliatrice pesante, svelti. E caricatela a proiettili perforanti!"

In pochi minuti, l'arma è completamente montata. "Quando vuole, signore. Aspettiamo il suo ordine." dice Patterson.

"Niente ordine, sergente. Tu pensa solo a passarmi i nastri con i proiettili. Il resto è compito mio."

Il tenente Martino si accomoda dietro la mitragliatrice, e per qualche secondo la punta in varie direzioni, per accertarsi che sia stata montata come si deve. Poi apre il fuoco, furiosamente. Anche a cinquecento metri di distanza, posso vedere le nuvolette di polvere e detriti provocate dai proiettili da 20mm che impattano sulle pareti, attraversandole. Tutte le vetrate del palazzo cadono in frantumi. "Ancock, dammi una lettura!" grida Martino, continuando a sparare.

"Tre...no, quattro giù, signore. Ed un paio di feriti gravi, sicuramente. Ma non riesco a vedere quanta gente possa essersi nascosta nello scantinato."

"Ok, ok." Il tenente smette di sparare. "Lasciamo questo giocattolino qui, per il momento. Andiamo a dare il colpo di grazia a quei bastardi."

Cominciamo ad attraversare il ponte a passo di corsa.

"Per l'orgoglio dei Lupi!" grida il tenente.

"Per l'orgoglio dei Lupi!" rispondiamo in coro, continuando a correre. Sappiamo che è arrivato il momento di dimostrare ciò che siamo capaci di fare, e nessuno si tirerà indietro.

"Per l'onore dei Lupi!" continua il tenente.

Un insistente cicalino blocca la nostra risposta. "Signore" grida Ancock "sto avendo una strana lettura, come se"

Un lampo improvviso mi acceca per un istante, e poi mi sento sollevare in aria da una forza incredibile.

Vengo scaraventato a ridosso del parapetto del ponte, ed il rimbombo di un forte rumore mi assorda completamente.

Un'esplosione. Capisco immediatamente di che cosa si è trattato. Un colpo di lanciarazzi ha centrato in pieno la mia unità.

Accanto a me vedo il corpo di Sachs, agonizzante. Più avanti, vedo un altro paio di corpi, ma sono troppo straziati per dire a chi appartenessero. Le loro tute d'assalto sono letteralmente fuse, ormai parti integranti dei soldati che le indossavano. Cerco di non guardare quell'orrore, ma il mio corpo si rifiuta completamente di obbedire. Non riesco a muovere nemmeno un muscolo. Devo essere ridotto piuttosto male, anche se per il momento non provo nessun dolore. Dall'altra parte del ponte vedo arrivare un drappello di Ratti. Si avvicinano senza fretta, camminando.

Cominciano ad esaminare i corpi dei soldati, per accertarsi che siano veramente morti. Una di loro si avvicina a Sachs e gli toglie l'elmetto. Il poveraccio, nonostante abbia la bocca piena di sangue, cerca di dire qualcosa. Forse una supplica, forse un'imprecazione. Non ne ha il tempo, la modificata gli spara a bruciapelo in mezzo agli occhi. Vorrei gridare, saltarle al collo con tutta la rabbia possibile, ma non posso fare altro che fissarla impotente. Si avvicina a me. Vedo che sul suo volto c'è qualche goccia del sangue di Sachs. Ha una strana espressione, un miscuglio tra un odio profondo e...divertimento?

Sì, la donna Ratto si sta divertendo, a uccidere. Si sta divertendo un mondo.

Più della sua espressione, però, mi colpiscono i suoi occhi. Hanno qualcosa di strano, di indescrivibile, e mi danno la sensazione di stare guardando un animale. Mi punta la pistola alla testa. Cerco di mormorare una muta preghiera, ma l'unica cosa che mi viene in mente è un vecchio proverbio riguardo a dei pifferi, "che andarono per suonare, e invece furono suonati." "Un ultimo pensiero davvero stupido" mi dico.

Tre scoppi improvvisi, e poi una raffica di mitragliatore. Il Ratto alza di scatto la testa, sorpresa. Riesco a vedere chi sia stato a sparare: la nostra aeromobile di supporto, probabilmete richiamata dall' esplosione. Dimenticandosi completamente di me, la modificata si tuffa nel fiume, con un guizzo rapido da felino, mentre l'aeromobile si abbassa velocemente sul ponte, sparando all'impazzata. Due Ratti sono colpiti in pieno, e si accasciano al suolo. Un paio di soldati scendono dal veicolo portando una barella. Uno di loro mi nota "Cazzo, questo è ancora vivo" grida all' altro.

Poi, solo il buio.

Devo essere svenuto, o forse mi è stato somministrato un forte sedativo. Per quanto mi sia sforzato, non sono mai riuscito a ricordare niente delle diciotto ore che seguirono. Una uniforme, impenetrabile parete di nebbia me lo impedisce. Il mio primo ricordo successivo a quei momenti è il risveglio nell'ospedale militare di Orona. E, unito a questo, il dolore, talmente forte e diffuso da farmi dimenticare in breve tempo ogni altra possibile condizione fisica che non fosse la sofferenza. I medici, durante le prime settimane, non rilasciarono mai commenti sulle mie condizioni di salute. C'era sempre la possibilità di un imprevisto, di una morte improvvisa. Eppure, contro ogni possibilità, ce la feci. Mentre la guerra contro i Ratti diventava sempre più dura, combattevo la mia lotta per tornare a vivere normalmente. Venti mesi di riabilitazione medica, i peggiori mesi della mia vita, i più dolorosi, i più umilianti. Per mia fortuna, la storia dell'undicesima squadra aveva avuto rilevanza nazionale, e questo fece di me, unico sopravvissuto alla missione, una specie di eroe.

Il dipartimento militare mi tolse quasi subito dall'ospedale di Orona, e mi fece trasferire nella più famosa clinica del paese. Tutto spesato, ovviamente. Quello fu il modo del governo per ripagarmi del mio "eroico sacrificio compiuto con sommo sprezzo del pericolo". Tutto questo, comunque, era fatto con uno scopo: anche se costretto in un letto d'ospedale, fui trasformato in un vero e proprio portavoce dell'esercito. Ogni mattina, un capitano del servizio informazioni veniva a trovarmi. Mi portava le ultime notizie, e mi istruiva su cosa avrei dovuto dire ai giornalisti. Non ricordo nemmeno più quante volte sono stato intervistato in quel periodo. Avevano fatto di me il simbolo della più sanguinosa guerra che la nazione avesse mai combattuto, parlavo a nome di tutti coloro che non sarebbero mai più tornati a casa. E incitavo a combattere ancora, ognuno a suo modo. Mi rivolgevo alle madri, facendole sentire fiere dei propri figli. Mi rivolgevo agli operai delle fabbriche di materiali bellici, incitandoli a dare il massimo. La mia faccia sempre sugli schermi, ero divenuto la buona coscienza del paese.

I militari avevano bisogno di non perdere la simpatia popolare, ed io ero il loro giocattolo. Tutti felici, tranne me, pupazzo che non riusciva a vedere il burattinaio che gli teneva i fili. Ormai più simbolo che uomo, non so pensare a quanti siano morti a causa mia, in nome di ciò che mi era stato imposto di rappresentare, in nome della maschera pubblica, eroica e lucente, di quella lurida guerra.

La situazione peggiorava quasi ogni giorno: i Ratti si erano rivelati molto più duri del previsto. Si erano ribellati in molte altre zone, erano riusciti a mettere in piedi un piccolo esercito di guerriglieri e terroristi. La paura degli attentati era come una pesante cappa sui cieli di ogni città, che esacerbava gli animi. Contro ogni previsione, dopo seicentotto giorni dall'inizio della rivolta il Presidente, in diretta televisiva a reti unificate, concesse pieni poteri al generale Bannerman. Venti ore dopo, una testata nucleare strategica colpiva Radboon. In un attimo, con il suo soffio mortale, distrusse ogni forma di vita in un raggio di tre chilometri, lasciano solo cenere e rovine.

O per lo meno, così si credeva allora.

Distrutto il centro della rivolta, ucciso il comando strategico, il resto dei modificati si arrese in breve tempo. Nessuno sembrò ricordarsi che assieme ai modificati ribelli erano morti anche decine di migliaia di civili. Nessuno ne fece mai parola. Caduta Radboon, si concluse anche la mia carriera di fantoccio: fui rispedito a casa, e solo per pura fortuna mi riuscì di ottenere una pensione da veterano.

Grazie a questa piccola rendita, sono riuscito a tirare avanti fino ad oggi. Non sono mai riuscito a trovare un lavoro stabile, a farmi amicizie durature, a conoscere una brava ragazza da sposare. E forse nemmeno ci ho provato. Una volta tornato a casa, non sono più stato in grado di trovare qualcosa che mi interessasse veramente. E' strano, ma alle volte credo che quel giorno sia riuscito a cavarmela per puro caso. Per una volta, credo che anche alla Morte sia successo di sbagliare il colpo.

A volte ripenso a Sachs e al tenente, e a tutti coloro che a Radboon, invece, sono morti. Ma non sono i loro corpi straziati ad abitare le mie notti. E' un pensiero, un dubbio ricorrente, la certezza interiore di aver lasciato la' qualcosa di incompiuto, che mi impedisce di dimenticare quei giorni, come vorrei.

Quando una settimana fa Trobriand mi ha telefonato per chiedermi di accompagnarlo a Radboon, mi sono detto che non avrei mai avuto un'occasione migliore di questa. Ho accettato immediatamente, per non dare tempo alla prudenza di fermarmi.

Marc Trobriand è un cronista della rete32. Ha quasi trent'anni, ed è piuttosto bravo, ma non è ancora riuscito a farsi conoscere. E' nato molto dopo la fine della guerra, eppure ha sentito spesso parlare di me. "Ho visto tutte le sue interviste, signor Lovelock" mi ha detto "e devo riconoscere che lei riusciva a dare il meglio di se anche da un letto d'ospedale." I suoi ingenui tentativi di lusingarmi mi avevano dato di lui un'impressione sbagliata: conoscendolo, ho scoperto che è un bravo ragazzo, disposto a rischiare per fare bene il suo lavoro.

Si sta giocando la sua grande partita, con questo servizio: se va bene, lo assumeranno al network come corrispondente di prima categoria. Altrimenti è fuori, senza appello. Spero che gli sarò utile, in qualche modo. Nonostante la differenza di età e tutto il resto, devo ammettere che ormai lo considero un amico. Forse il migliore che abbia mai avuto.

Il sole sta sorgendo, riesco finalmente a scorgere il panorama nel chiarore dell'alba. Pochi cespugli, qualche albero rinsecchito. Nemmeno un fiore, sebbene la primavera sia cominciata da più di un mese. Questa terra non ha ancora dimenticato gli orrori subiti.

All' improvviso, una larga chiazza scura sul terreno, in lontananza.

Radboon.

Eccola, finalmente. Socchiudendo gli occhi, riesco a scorgere le sagome di due grattacieli rimasti in piedi.

Laggiù si nasconde il motivo per il quale sono tornato, e che ha fatto accorrere tutti i giornalisti che si trovano su questo furgone.

Un piccolo insediamento di modificati, scoperto una settimana fa da un satellite-spia.

Non possono essere arrivati da fuori, perché fuori da Radboon i modificati non esistono più. Sono stati tutti uccisi, o incarcerati. No, questi bastardi erano già qui al tempo della guerra. Sono sopravvissuti ai bombardamenti, alle battaglie, alla fame. Sono sopravvissuti alla bomba. Gli esperti di armamenti sostengono che siano scampati allo sterminio rifugiandosi nelle fogne, e che solamente adesso, scongiurato il pericolo delle radiazioni, stiano tornando in superficie. Nessuno azzarda ipotesi sul loro numero,o sulle loro condizioni fisiche,ma una cosa è certa:hanno fatto tornare a galla tutte le paure che tormentarono la mia generazione.

Già da alcuni giorni il Palazzo del Governo è assediato da gruppi di dimostranti, che chiedono a gran voce una soluzione. La gente ha bisogno di essere rassicurata, di vedere che le istituzioni si stanno dando da fare per loro. Ma per il momento, ben poco è stato fatto. Il Presidente temporeggia: anche se un contingente militare è stato stanziato nei pressi di Radboon, nemmeno una pattuglia è stata fatta entrare in città. Solo i satelliti, per il momento, hanno sondato le macerie. E tutta la nazione aspetta, col fiato sospeso, davanti agli schermi televisivi.

Ho voglia di parlare con qualcuno, e scuoto ripetutamente Marc, semisdraiato sul sedile accanto al mio. Tutto quello che ottengo è di farlo borbottare un po': viaggiamo ormai da più di dodici ore, prima su di un aereo militare e adesso su questa scomoda camionetta, ed è naturale che sia sfinito.

Dovrei provare a dormire anch'io, dopo tutto. Quella che sta per cominciare sarà una giornata molto lunga.

Una voce, ed una gentile stretta sulla spalla mi strappano da un sonno inquieto.

"Avanti, signor Lovelock, si svegli. Le ho preso del caffè."

"'giorno, Marc" riesco a dire, nonostante la bocca impastata "dove siamo?"

"Al Campo di Guardia Uno, a meno di due chilometri da Radboon."

"Ottimo. Quando entriamo?" gli chiedo, prendendo il bicchiere fumante dalle sue mani.

"Non ci faranno entrare..."

"Che cosa?"

"...almeno per il momento. Stanotte hanno mandato dentro due pattuglie, ed una non è tornata. Sembra che i Ratti siano ancora sul piede di guerra. Adesso laggiù c'è un intero plotone di un corpo speciale..."

"Lupi Rossi?"

"Sì. Hanno l'incarico di ripulire la zona che dovremmo visitare noi. Dopo, forse, potremo entrare. O magari la nostra visita verrà rimandata a domani. O al mese prossimo. Ho provato ad ottenere qualche informazione precisa, ma quel tenente dei corpi di guardia che si spaccia per "addetto alle pubbliche relazioni" è un completo cazzone. Fiato sprecato, cercare di parlare con lui."

"Già, credo di conoscere il tipo. Come credi che si risolverà questa situazione?"

"Mi ascolti: non posso sapere quello che pensano i militari. Ma so che a quelli del network questa storia interessa molto. La considerano la "Storia", se capisce ciò che intendo. Hanno tirato fuori un sacco di soldi, per fare arrivare qui me e lei, e li hanno dati alle persone giuste. Forse ci vorrà un po', ma sono sicuro che alla fine entreremo."

"Già, credo proprio che tu abbia ragione." O per lo meno, lo spero. Qualunque cosa accadrà, voglio continuare a pensare che ci faranno entrare. "Adesso cerchiamo di procurarci qualcosa di solido per mandare giù questo caffè, vuoi?"

Mi sorride, e accenna un "sì" con la testa. E' felice che la pensi come lui, e forse, più di tutto, è felice di essere riuscito a mantenere la sua facciata da "uomo sicuro di se'". Ma ho visto troppi uomini con quella espressione in volto, mentre partivano per la guerra, per farmi imbrogliare da Marc.

Mentre ci avviamo alla mensa del Campo di Guardia Uno, un pensiero mi colpisce: Marc, in fondo, è un privilegiato.

Non ha ancora scoperto che esistono paure molto più angoscianti di quella della morte.

Come la paura dei ricordi, per esempio.

Il tenente Redman entra nella mensa mentre stiamo per cominciare il nostro pasto. E' sudato ed incollerito. Deve essere successo qualcosa di importante.

"Un minuto d'attenzione, prego" chiede, spaziando con lo sguardo in tutta la sala. "Ho una buona notizia da darvi, signori giornalisti: malgrado le mie proteste, la vostra visita a Radboon è stata approvata dall'Alto Comando." Sento Marc, seduto vicino a me, sghignazzare sommessamente. "Partirete fra qualche ora, prima che faccia buio. Dobbiamo ancora organizzare il reparto che vi farà da scorta, ed ognuno di voi dovrà essere sottoposto ad una completa visita medica. Vi prego quindi di trovarvi all'infermeria tra mezz'ora. E' tutto." La notizia crea espressioni soddisfatte sul viso dei cronisti presenti. Si alzano tutti, quasi contemporaneamente, e si avviano di buon passo fuori dalla mensa. Il loro brusio eccitato satura l'aria.

Faccio per alzarmi anch'io, ma qualcuno mi blocca mettendomi la mano sulla spalla. Mi volto, e mi trovo faccia a faccia con il tenente Redman.

"Permette che le parli per un minuto, signore?"

Annuisco, mentre cerco di immaginare cosa possa volere da me.

"Perché vuole andare anche lei?"

"Come?"

"Non riesco proprio a capire perché voglia andare anche lei. Passi per quei giornalisti...voglio dire, è il loro lavoro. E poi sono dei civili: secondo me nemmeno riescono a capire il vero significato di "combattimento". Ma lei...lei è già stato laggiù. Ha visto di cosa sono capaci i modificati. Senta, se vuole, posso farla tornare a casa in meno di sei ore.Il convoglio che vi ha portati qui non è ancora ripartito, e non mi sarà difficile trovare un posto per lei. Basta che lo chieda, e sarò a sua disposizione."

Lo guardo, sorpreso dal suo interesse per me. Per un attimo, penso davvero di spiegargli tutto. Poi mi accorgo che siamo rimasti soli, nella mensa, e Marc mi starà sicuramente aspettando all'infermeria.

"La ringrazio, ma ho deciso di andare fino in fondo." Mi alzo in piedi, ed esco dalla stanza il più velocemente possibile. Anche se avessi cercato di spiegare, probabilmente il tenente non avrebbe capito. Nemmeno lui, in fondo, ha mai combattuto a Radboon.

Come avevo immaginato, mi ritrovo ultimo nella fila per il controllo medico. Dopo mezz'ora, vedo uscire Marc.Gli hanno tagliato i capelli a zero.

"Ehi, Trobriand! Che hai combinato là dentro per farti ridurre così?"

"Dicono che è la procedura standard anti-contagio" mi risponde, imbarazzato "esame delle condizioni fisiche generali, controllo vaccinazioni e somministrazione di quattro pillole.Tre sono di antibiotici, e l'ultima è un disseccatore pilifero..."

"Cioè quella che ti ha fatto cadere tutti i capelli..."

"E non solo quelli, signor Lovelock!"

Cominciamo a ridere, come ragazzini. "Non vorrei essere nei panni della prossima ragazza con cui andrai a letto...liscio come un pupo! Sembri davvero un ragazzino fresco di liceo..." "Bhe, almeno non dovrò farmi la barba per bel un po'..."mi dice, continuando a ridere "e poi guardi che toccherà anche a lei..."

"Ma se sono quasi pelato...figurati..."

"Eh...ma non guardano solo la testa, sa..."

Riusciamo a fare tanto baccano da attirare l'attenzione di un caporale, che ci ordina perentoriamente di finirla. Continuiamo comunque a scherzare fino a che non arriva il mio turno di passare la visita.

"Senti, Marc, entreresti con me nell'infermeria?" gli chiedo.

"Certo, ma perché?"

"Avrò bisogno di conforto nel supremo momento del distacco dai miei pochi capelli."

Esplode in una risata fragorosa. "Va bene, va bene, per te questo ed altro." Sorrido anch'io. Mi fa piacere che si sia finalmente deciso a darmi del tu.

Entriamo insieme nell'edificio. L'ufficiale medico sta riordinando un pacchetto di schede sanitarie.

"Lei è il signor Lovelock, presumo. Il più anziano del gruppo."

Mormoro uno stentato "sì".

"Mi dispiace, Lovelock, ma controllando la sua scheda medica ci siamo accorti che non possiamo lasciarla andare a Radboon."

"Ah,sì?" chiedo, cercando di restare calmo. "E per quale motivo, se posso saperlo?"

"Possibile insufficienza cardiaca. Erano già stati riscontrati dei piccoli problemi nel suo periodo di leva, problemi che sicuramente si saranno aggravati con l'età..."

"Cazzate. Tutte cazzate. Sa bene quanto me che ho un cuore sanissimo!" Mi sono appena reso conto che non riesco a controllarmi.

"Avanti, Lovelock, non contraddica il dottore." E' la voce del tenente Redman, comparso improvvisamente sulla porta.

"Non possiamo certo correre il rischio di spedire un simpatico vecchietto come lei in mezzo ad una guerra, no? Chissà che scriverebbe di noi il suo amico giornalista se venisse ferito...già mi immagino i titoli."

Chiamato in causa, Marc si avvicina al tenente. Con calma, infila una mano in una tasca del giubbotto e ne tira fuori un foglietto ripiegato.

"Senta,Redman"gli dice, porgendogli il pezzo di carta "questo foglio è un lasciapassare per Radboon, per me e il signor Lovelock. E' costato al mio network un bel mucchio di soldi, ed è compito mio assicurarmi che non vadano sprecati. Se lei vuol fare lo stronzo...va bene,si accomodi...Ma prima di prendere una decisione, guardi da chi è stato firmato."

Il volto del tenente si aggrotta, mentre legge e rilegge il documento. Sento gocce di sudore che mi colano lungo il collo. Eppure non fa molto caldo. Alla fine, il tenente appallottola con rabbia il foglietto.

"Dia le sue quattro pillole al signor Lovelock, dottore. E cerchi di sbrigarsi. Stiamo perdendo il nostro tempo,qui."

Finalmente,esco dall'infermeria insieme a Marc. Il dottore mi ha visitato frettolosamente, senza dire una parola,evitando di incrociare il mio sguardo. Ovviamente,le mie condizioni fisiche generali sono state dichiarate "più che buone". L'ansia che ho provato a causa della carognata del tenente si è quasi completamente dissolta,anche se mi ha lasciato la gola secca. Sto per proporre a Marc di andare a cercare qualcosa da bere,quando un possente rombo di motori mi distrae.

Una grossa aeromobile militare, con croci rosse dipinte sulle fiancate, sta cominciando la manovra di atterraggio, qualche metro sopra di noi.

"Toglietevi da lì, cretini, o vi finirà in testa!" ci grida qualcuno.

Ci allontaniamo,restando comunque abbastanza vicini per osservare l'areomobile atterrare dolcemente nel piccolo piazzale davanti all'infermeria. Non appena i motori si spengono, vediamo scendere due portantini con una barella. Non hanno nessuna fretta, e questo non è buon segno. Dal trasporto scende anche un soldato dei Lupi Rossi. La sua tuta d'assalto è sporca di polvere e insanguinata. Si toglie l'elmetto e, appoggiandosi con la schiena all'aeromobile,si lascia scivolare fino a terra. Ci avviciniamo.

"Che ti succede,soldato?" gli chiedo "Hai bisogno di aiuto?"

Si volta e mi fissa intensamente,con gli occhi stretti a fessura. Probabilmente non si era nemmeno accorto che eravamo lì,e l'abbiamo spaventato.

"Vorrei una...una sigaretta, se ne avete, grazie."

Marc gliela porge, mettendogliela direttamente in bocca.Il soldato la accende e comincia ad aspirare meccanicamente, guardando fisso davanti a se'. Sembra più rilassato, come se solamente adesso si rendesse conto di essere tornato al campo.

Mi siedo davanti a lui, sulla terra compatta della pista di atterraggio, in modo da guardarlo direttamente negli occhi.

"Chi c'era sulla barella, soldato?"

"Il sergente...il sergente Ngumi. Ma ho paura che sia morto." Scuote il capo, e aspira un'altra boccata. Ormai, è quasi arrivato al filtro. "E' stato tutto così veloce..." dice, fissando lo spazio vuoto fra me e Marc "sapevamo che i Ratti si trovavano da quelle parti...e avanzavamo con cautela...poi...quattro scoppi, quattro colpi di fucile e quattro dei nostri vanno giù...anche Ngumi va giù e io mi butto su di lui per proteggerlo..." la sigaretta è finita, ed il soldato lascia cadere a terra il filtro. E' appiattito, deve averlo stretto forte fra le dita "gli hanno sparato alla gola, qui" si tocca un punto poco più in basso del pomo d'Adamo "proprio dove la lamina di inoxplast è più sottile...il tenente ordina di trovarsi un riparo e di colpire i cecchini, ma io sono proprio in mezzo alla strada e ad alzare la testa non ci penso nemmeno...sto lì, disteso sopra Ngumi...sempre stati grandi amici, io e lui...non è vero che tutti i sergenti sono dei figli di puttana...e le pallottole mi passano vicine, ma colpiscono sempre qualcun'altro.." lentamente, alza le mani a coprirsi il volto "e poi mi accorgo che Ngumi sta cercando di respirare, e fa un suono gorgogliante, con tutto quel sangue che gli esce dalla bocca e dal collo...e allora io lascio andare il mitra e me lo carico sulle spalle e comincio a correre via da lì...e sento altri spari e questa volta le pallottole colpiscono Ngumi alla schiena due o tre volte, e io corro ancora di più con la voce del tenente che rimbomba nell'elmetto e mi impedisce di sentire Ngumi...poi non sento più nemmeno il tenente...e proprio quando sto per fermarmi perché non ce la faccio più mi trovo davanti questa ambulanza e il pilota mi fa cenno di sbrigarmi a salire..."

Il ragazzo abbassa lentamente la testa, le sue mani scendono ad abbracciare le ginocchia. Comincia a dondolarsi avanti e indietro, mentre le sue parole confuse divengono una nenia lamentosa.

Un altoparlante,da qualche parte, comincia a gracchiare, avvertendo i giornalisti di radunarsi allo spiazzo principale, nel lato est del campo.

Mi alzo in piedi, e noto gli occhi del soldato. Sono vuoti,spenti. Hanno visto più di quanto avrebbero mai voluto vedere, e quelle immagini sono ormai impresse nella sua anima. Ormai la sola cura possibile al suo dolore è la pazzia,e con essa l'oblio.

Faccio un cenno a Marc. Più a lungo restiamo qui, e più dificile sarà trovare il coraggio per andarcene.

"Aspetta un attimo" mi dice, e prende le mani del soldato, cercando di passargli qualcosa. Poi rialza e mi indica che possiamo andare. Mi volto a guardare il ragazzo un'ultima volta, e mi accorgo che adesso stringe in mano il pacchetto di sigarette di Marc.

Pugno alzato vicino alla faccia, l'indice puntato verso l'occhio destro. Il sergente Dann ci sta facendo segno che possiamo proseguire, con cautela.

Mi passo una mano sulla fronte,per asciugare il sudore, e rimetto lo zaino in spalla. Stiamo marciando da non so più quante ore, su strade così accidentate e ingombre di rifiuti che nemmeno un cingolato sarebbe riuscito ad attraversare.

Radboon è esattamente la stessa di quarantotto anni fa, stesso cielo sporcato da colonne di fumo nero, stessi palazzi diroccati, stessa totale mancanza di suoni, esclusi i nostri passi pesanti sull'asfalto crepato.

La desolazione e l'abbandono hanno compiuto un miracolo: nemmeno un giorno sembra essere passato, dall'ultima volta che sono stato qui.

Per il momento, il mio più grande desiderio è quello di riuscire a dormire qualche ora. Sono sfinito, e anche se il sergente continua a spronarmi a forza di insulti e bestemmie, so di non poter reggere ancora a lungo. Le cinghie dello zaino mi segano le spalle, riuscendo in qualche modo a farsi sentire anche attraverso la leggera tuta in inoxplast che l'Alto Comando ci ha fatto avere, e...

Il sergente ha alzato una mano, con tutte le dita aperte. Sono il primo della colonna, e riesco a vedere che siamo arrivati a ridosso dei soldati che facevano da avanguardia al nostro gruppeto. Deve essere successo qualcosa.

Un ronzio. Qualcuno ha aperto il canale di comunicazione subvocale! Eppure l'ordine tassativo del colonnello Gott era di tenere il silenzio radio!

"Signori giornalisti" la voce profonda del sergente,carica di sarcasmo, rimbomba nella mia auricolare "i vostri tormenti sono finiti. Il colonnello ha deciso che stabiliremo il campo nelle rovine di un centro commerciale a meno di un chilometro da qui. Presto potrete riposarvi e mangiare. Da adesso le comunicazioni radio sono consentite, pare che non ci siano Ratti nei paraggi."

Sento qualcuno, dietro di me, emettere un lungo sospiro di sollievo.

"Avanti allora, cerchiamo di arrivare prima che faccia buio. E lei, signor Lovelock" dice il sergente, voltandosi a guardarmi "cerchi di non schiattarmi per la fatica proprio ora, eh!"

Penso per un attimo a cosa rispondergli. Poi lascio perdere.

Forse è meglio risparmiare il fiato.

Il grande centro commerciale di Radboon Sud si è conservato piuttosto bene, nonostante gli anni di abbandono e i combattimenti. Ovviamente,i modificati non hanno lasciato niente che potremo utilizzare. A giudicare dalla confusione che c'è qua attorno, devono aver saccheggiato questo posto più di una volta, e hanno bruciato tutto quello che non sono riusciti a portare via. Ma dopo quasi sette ore di marcia forzata, con il costante terrore dei cecchini, anche un semplice pavimento su cui sdraiarsi mi sembra una benedizione.

Refoli di vento si rincorrono tra vetrate andate in frantumi da molti anni, sollevando cumuli di polvere e cenere. I soldati hanno i loro caschi per protteggersi, ma l'unica soluzione per noi civili è legarsi un fazzoletto sulla bocca. Anche se il freddo, specie nelle stanze più interne dell'edificio, è tremendo, il colonnello ha già fatto sapere a tutti che non possiamo correre il rischio di accendere dei fuochi, nemmeno per scaldare qualche scatoletta. Certo, abbiamo i nostri fornelletti elettrici personali, ma ammesso di riuscire a farli funzionare, hanno la sgradevole tendenza a carbonizzare il cibo da un lato, lasciandolo dall'altro praticamente crudo.

Ma tutto questo, in fondo, non è importante. Ciò che davvero conta è essere riuscito ad arrivare qui, vivo. Eppure,adesso che finalmente ce l'ho fatta, mi sento come svuotato. Tutte le emozioni e i timori sono scomparsi, e mi ritrovo nuovamente a chiedermi perché sono voluto tornare. Perché non sono riuscito a darmi pace? Avevo davvero bisogno di altri morti, di altro dolore, di altri orrori? Il solo pensiero di quello che vedrò nei prossimi giorni mi fa venire voglia di alzarmi e di urlare, di obbedire al cieco grido che mi rimbomba in testa "Fuggi, fuggi, vecchio pazzo! Hai già dato la tua parte. Cosa cerchi ancora fra queste rovine?" La Paura si è finalmente decisa a tornare da me. E' come incontrare di nuovo una vecchia amica. O meglio, una vecchia amante premurosa, che non dimentica.

Ripenso a Sachs, con il volto sfracellato dalla pallottola, e al tenente Martino, e al racconto del soldato incontrato al campo, e tutto questo si mescola in un orrore unico. Vivere, amare, e all'improvviso dover morire come bestie, senza dignità, uomini ridotti a corpi schiantati dal fuoco del nemico.

Il nemico. I Ratti.

Mi ritrovo a pensare alla modificata che stava per uccidermi, per la prima volta dopo chissà quanto tempo. Era soddisfatta, sicura di sé, fiera di difendere i suoi simili. Orgogliosa della sua forza.Come lo erano i Lupi Rossi.

Ho sempre pensato che i Ratti fossero così terribili in combattimento perché incapaci di provare sentimenti, spietati per natura, creati per somigliare alle macchine. Ma noi Lupi, orgoglio della nazione, eravamo veramente migliori di loro?

Solo adesso mi rendo conto che l'unica scelta di un soldato è uccidere o morire. Il resto non conta.

E tutto quello che fa la differenza è la parte da cui si guarda la canna del fucile.

L'insistente brusio di molte voci mi strappa ad un sonno profondo.

Apro gli occhi, e vedo che tutti i giornalisti sono già in piedi e si muovono nervosamente per la grande stanza che abbiamo trasformato in dormitorio. Un piccolo gruppo sta discutendo animatamente in un angolo.

Malvolentieri, mi costringo ad uscire dal sacco a pelo. Il gelo della stanza mi fa rabbrividire.

Provo ad alzarmi in piedi, ma un crampo mi fa ricadere a terra. Le mie gambe ricordano ancora troppo bene la marcia forzata di ieri, e come se non bastasse ho i piedi gonfi e cosparsi di vesciche. In qualche modo, comunque, riesco a raggiungere il centro della stanza, dove è stato lasciao un thermos pieno di caffè solubile. Me ne servo una doppia razione, e la mia testa comincia a farsi meno pesante.

Cerco Marc con lo sguardo, ma non lo vedo da nessuna parte. Da quando i disseccatori piliferi ci hanno fatto diventare tutti calvi, è molto più difficile riconoscere qualcuno tra la folla.

Il gruppo che prima stava nell'angolo è intanto molto cresciuto, attirando quasi tutti i presenti. Anche la confusione è aumentata, e adesso riesco a cogliere alcune frasi.

"...i primi sono arrivati due ore fa..."

"...non me la sento più di rischiare..."

"...non possono rispedirci indietro così..."

Vicino a me vedo Lebedi, uno dei giornalisti che Marc mi ha presentato. Credo che sia più informato di me su quello che sta succedendo...

"Salve, Lebedi. Che sta succedendo? Perchè sono tutti così agitati?"

"Rogne, Lovelock. Un sacco di maledettissime rogne. E' incredibile, eppure i modificati stanno massacrando le nostre truppe..." Lo guardo sorpreso, un'aria interrogativa stampata sul volto.

"Le dico che è così! In fondo, per lei non dovrebbe essere nemmeno una grande novità,"ha alzato il suo tono di voce, forse perchè seccato dalla mia perplessità "e comunque può venire con me a vedere i feriti, se non mi crede..."

"Feriti? Di che diavolo sta parlando?" Lebedi accenna un mezzo sorriso di soddisfazione. Il suo lavoro è quello di catturare l'attenzione della gente, e adesso è riuscito a catturare la mia..."Parlo dei feriti che sono stati sistemati in uno dei magazzini del piano terra. Saranno almeno una cinquantina, e continuano ad arrivare. Le aeroambulanze li stanno portando qui, in mancanza di un posto migliore. Sembra che i Ratti siano migliaia, altro che un gruppetto come dicevano le rilevazioni satellitari. La loro tecnica è sempre la stessa: attirano le nostre squadre in qualche strada circondata da palazzi abbastanza alti e poi fanno comodamente il tiro al bersaglio. Sono dei cecchini formidabili, quei figli di puttana dagli occhi rossi. Abbiamo avuto più di cento morti, e questo solamente stanotte. L'Alto Comando ha già dato ordine di far ritirare tutti i plotoni nella zona sud della città, più sicura e difendibile, per riorganizzarsi e attendere i rinforzi. Ah, ovviamente, la nostra allegra scampagnata è sospesa. Saremo tutti riportati al Campo Base Uno non appena ci saranno aeromobili disponibili...e purtroppo, credo che non ce ne saranno prima di stasera."

"Ma...ma come è possibile? E gli altri giornalisti, sono tutti d'accordo? So che alcuni di loro hanno dovuto pagare parecchio denaro per arrivare qui..."

"Bhe, e crede che io non abbia pagato come tutti gli altri, Lovelock? Semplicemente, penso che la mia pellaccia valga più di un articolo e qualche foto."

"E se qualcuno si opponesse, e chiedesse di restare con i soldati?" A questa domanda i suoi occhi si spalancano, e mi accorgo che stavolta è lui ad essere sorpreso.

"Lei deve essere uscito di cervello. Si rende conto che l'unica cosa che otterrà restando qui sarà farsi ammazzare? Oppure crede che i Ratti la risparmieranno per rispetto alla sua veneranda età?"

"Il nonnino ha ragione da vendere, invece! Nemmeno io posso permettermi di tornare dal capo a mani vuote." Un giornalista che non conosco si è intromesso, senza tante cerimonie, nella nostra discussione.

Lebedi si gira bruscamente verso di lui, alzando contemporaneamente la mano destra in un gesto che indica la sua intenzione di spedire il nuovo venuto a quel paese.

"Oh, ma senti! Tu e il tuo giornaletto da quattro soldi! Io non ci resto qui a crepare, e non me ne frega niente di quello che dirà il mio direttore.Sei tu che sei un cretino! "

L'altro giornalista resta interdetto per un attimo, colpito dalla furiosa reazione di Lebedi, che continua imperterrito a esporre le sue ragioni. Poi comincia a gesticolare furiosamente, cercando di ottenere la parola dal suo interlocutore. I due, completamente assorti dalla discussione, non fanno più caso a me, e ne approfitto per allontanarmi. Ho come l'impressione che il loro litigio diverrà presto una rissa in piena regola (i primi curiosi si stanno già radunano attorno ai contendenti, pregustando già i prossimi sviluppi della situazione) e non ho voglia di trovarmici in mezzo.

Rimasto solo, sono l'unico ad accorgersi dell'arrivo del soldato.

E' molto giovane, forse non ha ancora vent'anni, e nemmeno il pesante mitra da combattimento che porta a tracolla riesce a dargli un'aria marziale. Si sta guardando attorno spaesato, confuso dal caos di giornalisti urlanti che certo non si aspettava di trovare. Cerca di richiamare l'attenzione di qualcuno alzando un braccio, ma non riesce a farsi notare.

Allora, esasperato, si porta le mani a imbuto davanti alla bocca e comincia a urlare.

"Signori! Signori! Un attimo d'attenzione, per favore. Signori, per favore!"

Lentamente, il diffuso brusio della stanza cessa. Adesso tutti stanno guardando il soldatino, ansiosamente. "Signori, il colonnello Gott chiede di vedervi...ci sono importanti novità. Se volete seguirmi..." "Ma certo che ti seguiamo" urla un giornalista corpulento, imitando la voce del soldato "o hai forse paura che scappiamo per andare dai Ratti?" La stanza esplode in una fragorosa risata di scherno. Le massicce tensioni che si erano accumulate si sono dissolte in un momento, per effetto della battuta. Seppur con qualche spintone, ci avviamo tutti ordinatamenteverso la porta. Il soldatino precede il nostro gruppo, guidandoci attraverso una serie di stanze buie e corridoi polverosi che sembra non dover mai finire. Quando finalmente qualcuno si decide a chiedergli "dove diavolo si è andato a cacciare il colonnello Gott?" un laconico "all' infermeria" è tutta la sua risposta. Procede spedito, quasi correndo su quelle sue gambette da adolescente, tanto che fatichiamo a tenere il suo passo.

Lo stretto corridoio sotterraneo che stiamo percorrendo da qualche minuto compie una secca svolta a destra, e improvvisamente ci troviamo davanti ad un posto di guardia presidiato da due soldati. Dietro di loro, posso vedere una corta rampa di scale che porta in superficie. La nostra guida dice qualcosa ai suoi commilitoni, che subito si fanno da parte per lasciarci passare. Risalite le scale arriviamo dvanti ad una porta dotata di maniglione di sicurezza, che un tempo doveva servire da uscita di emergenza. Il ragazzo si volta indietro per un attimo, accertandosi che tutti noi lo abbiamo seguito,e poi spalanca la porta facendo forza con entrambe le mani.

Non più trattenuto, il puzzo dolciastro della carne bruciata misto a quello del fumo si riversa lungo le scale, investendo il nostro gruppo. Non sono molto vicino alla porta, e così non riesco immediatamente a capire da dove provenga l'odore. L'improvviso tanfo mi ha sorpreso, bloccandomi, ma la pressione del resto del gruppo mi spinge avanti, oltre la soglia della porta e dentro un lungo stanzone rettangolare, il cui alto soffitto è sostenuto da massicce colonne in cemento armato. Con la visuale finalmente libera, riesco a vedere la causa del tremendo odore che impregna l'aria del magazzino, rendendola quasi irrespirabile.

Un alto cumulo di corpi, formato con i cadaveri di innumerevoli soldati, sta bruciando nell'angolo del magazzino più lontano dalla porta. Quattro militari, nudi fino alla cintola, si occupano di alimentare la pira: a coppie, sollevano le salme per le mani e i piedi e, dopo averle fatte ondeggiare qualche istante, le gettano nel fuoco, non curandosi nemmeno di toglier loro la tuta da combattimento. Un quinto soldato, con in mano una pompa portatile, si occupa di irrorare ogni corpo con uno speciale liquido, infiammmabile all'aria. Questo nuovo tipo di napalm deve essere molto potente, dato che quasi immediatamente squaglia le carni e le giunture in inoxplast delle tute,rendendo i corpi un unico compatto blocco ardente.

Riesco a impedirmi di fissare la scenna troppo a lungo, girandomi bruscamente verso la porta. Un tempo sono stato un soldato, un Lupo Rosso, ma tutto questo è troppo, anche per me. Proprio davanti ai miei occhi vedo il giornalista corpulento che vomita copiosamente, mentre il piccolo soldato che ci ha accompagnati qui gli sorregge la testa, con fare indifferente e vagamente soddisfatto, per impedirgli di affogare nei resti della sua abbondante colazione mezzo digerita. Il rumore dei conati vince finalmente la mia debole resistenza e cado in ginocchio sul pavimento di cemento sporco, rimettendo a mia volta. Mentre lo faccio, ringrazio Dio di non aver avuto tempo di far colazione questa mattina: dalla mia bocca esce solo un po' di poltiglia nerastra, dal sapore pastoso e vagamente acido. Probabilmente si tratta del caffè mescolato alla cena di ieri sera.

Un paio di scarponi di pelle mi si avvicinano, chiedendomi come mi sento. Non riesco a rispondere, dato che sto ancora cercando di riprendere fiato. Dopo qualche attimo, appogiandomi al proprietario degli scarponi, riesco a tirarmi in piedi. Anche l'altro giornalista sembra essersi ripreso, e sta dicendo qualcosa ad un soldato. Mi accorgo di essere sporco del mio stesso vomito, e faccio per chiedere qualcosa con cui togliermi la puzza di dosso. Poi ripenso a dove sono, e decido di non rendermi ridicolo.

Il gruppo si muove ancora, rasentando le pareti della sala per tenersi lontano il più possibile dal cumulo di corpi. Arriviamo davanti ad una piccola porta in legno, che la guida ci dice di attraversare. Al posto della finestrella di vetro, che un tempo doveva far parte della porta, qualcuno ha piazzato un pezzo di cartone rozzamente sagomato, sul quale è stato scritta a pennarello una parola. "Infermeria".

Oltre la porta si trova una stanza molto più stretta della precedente, ma altrettanto lunga ed alta. Un tempo deve essere stata usata come ufficio, visto che ancora contiene qualche poltrona sfondata ed un paio di scrivanie, ammassate in un angolo per far posto ai feriti sistemati disordinatamente vicino alle pareti. L' aria sa di disinfettante e medicinali, ma niente riesce a coprire del tutto il puzzo del sangue.

Ci affolliamo accanto alla porta, cercando di non intralciare il passaggio ai due soldati del reparto medico che, a turno, si muovono per controllare le condizioni dei più gravi.

Il silenzio della stanza è pesante, nemmeno un ferito si lamenta. L'atmosfera impossibilmente calma, quasi serena, mi fa capire che tutti questi uomini si sono già rassegnati a dover morire, presto o tardi.

Il colonnello Gott è seduto per terra vicino ad uno dei feriti, il capo chino a guardare il volto dell'altro. Uno degli infermieri gli si avvicina, e gli mormora qualcosa mentra ci indica con la mano.

Il colonnello si sfrega stancamente gli occhi, alzandosi in piedi. In una mano tiene una catenella con due piastrine, che ripone delicatamente in una tasca del giubbone.

Silenziosamente, i due infermieri si avvicinano al corpo che il colonnello stava vegliando e lo girano di lato, in modo che vada a finire sopra un lucente telo di plastica nera sistemato lì accanto, che provvedono poi a passare sopra il cadavere e a chiudere a sacco, legandolo con dei lunghi spaghi alle due estremità. Badando a non farlo sbattere contro le pareti, i due soldati lo trasportano velocemente nell'altra stanza, accompagnati dagli sguardi vuoti dei feriti.

Il suono di una imprecazione mezzo soffocata mi fa girare, e vedo che Lebedi si è lanciato addosso al colonnello, afferrandolo per le spalle e mandandolo a sbattere contro il muro.

"Che cazzo sta combinando, eh, Gott?" urla "Mi dice che significa lo "spettacolino" nell'altra stanza?"

La scena resta bloccata così per un lunghissimo attimo, con tutti noi che fissiamo il volto paonazzo del giornalista, non molto sicuri di aver compreso quello che è successo. Poi qualcuno, ripresosi dallo stupore, si precipita a separare i due uomini. Ci vogliono tre persone per far mollare la presa a Lebedi. Il colonnello, durante tutto questo, non ha nemmeno provato a reagire, e anche adesso resta con la schiena appoggiata al muro, come se temesse di cadere.

Gli occhi arrossati, la barba ispida che gli segna le guance, la divisa sporca e sgualcita...assomiglia molto poco al baldanzoso ufficiale che ho conosciuto solamente due giorni fa.

"Signor Lebedi" dice poco più che sussurrando "quella che ha visto di là è la fedele applicazione della settima direttiva dell' Alto Comando, che recita testualmente:" si schiarisce la voce per un attimo, e poi riprende a parlare con un tono solenne "Impedire con ogni mezzo che le bande di ribelli modificati entrino in possesso delle armi e delle tute potenziate in dotazione alla truppa combattente." "Mi ha sentito, Signor Lebedi? "Con ogni mezzo" Questa è l'unica soluzione che sono riuscito a trovare per non abbandonare qui un centinaio di tute perfettamente funzionanti... E consideri che ci sono almeno tre aeroambulanze che fanno la spola tra questo posto e la zona di combattimento, e ogni volta tornano cariche di cadaveri... Comunque, se lei ha per caso un'idea migliore..." Lebedi apre la bocca per parlare, ma il colonnello, ignorandolo, si rivolge a tutti noi.

"Quello che avete appena visto uscire avvolto nella plastica era il sergente Dann..." Un mormorio corre fra il gruppo di giornalisti. Anch'io conoscevo il sergente, e mi dispiace per lui, anche se non posso dire di avergli voluto molto bene. "L'ho mandato in esplorazione stanotte, assieme ad altri quattro soldati, per delimitare un perimetro sicuro attorno a questo edificio. Il fatto che li abbiano uccisi tutti a meno di mezzo chilometro da qui...vi fa capire quanto possa essere sicuro il perimetro!"

Il colonnello ridacchia tra se', ottenendo in risposta i nostri sguardi perplessi.

"Comunque, comunque, cerchiamo di tornare al punto, anche perchè non dormo da più di venti ore, tra poco devo mettermi in contatto con il quartier generale per fare rapporto e forse sono un po' confuso...oh, ma se non capite quel che dico voi ditemelo, eh!" Questa volta, il colonnello scoppia in una risata sguaiata, che gli fa lacrimare gli occhi.

"Dicevamo...ah sì, sì, il motivo per cui vi ho fatti chiamare. Volevo semplicemente informarvi che questa zona sarà evacuata. Voi giornalisti sarete portati via domani mattina, noi soldati " e qui la sua espressione torna seria "forse mai. E' tutto, signori. Adesso avrei proprio bisogno di riposare, e vi sarei grato se, gentilmente, vi toglieste dalle palle..." accompagna l'ultima affermazione con una risata che soffoca a stento. Nessuno di noi, nemmeno Lebedi, ha il coraggio o la voglia di dire qualcosa. Semplicemente, ci limitiamo ad uscire dalla stanza, cercando di allontanarci il più in fretta possibile da quell'orrore.

Torno lentamente verso il dormitorio, cercando di analizzare la situazione con la maggior calma possibile.

Mi chiedo per quanto ancora questo edificio sarà sicuro, dato che i Ratti sanno già che siamo qui, e mi chiedo anche se i pochi Lupi che sono la nostra scorta riusciranno ad organizzare una difesa efficace, almeno fino a quando qualcuno dei piani alti non si ricorderà di noi e ci manderà a prendere. Domande stupide, che mi faccio solamente perché ho ancora troppa voglia di sperare. I Ratti non hanno strategie di combattimento, ne' seguono uno schema preciso. Proprio non riesco ad immaginarmi un gruppo di modificati seduti attorno ad un tavolo che preparano un piano d'attacco. Il fatto che non siano ancora venuti a stanarci da qui dentro dipende solo dal fatto che probabilmente avevano altro da fare. Ma, sicuramente, verrà anche il nostro turno. Quanto ai nostri difensori, non credo che senza il comando del colonnello riusciranno a combinare qualcosa di buono. Non che la mente di un buon comandante avrebbe fatto questa gran differenza di fronte ad un'orda di Ratti inferociti, comunque.

Semplicemente, non esistono vie di fuga, e l'unica cosa da fare è aspettare che ci vengano a prendere. Se saranno i soccorsi o i modificati, questo proprio non lo so immaginare. Sto per entrare nella camerata dei giornalisti, quando una voce familiare mi chiama.

"Ehi, Raaaymooond......."

"Marc! Ma per la miseria, dove ti eri andato a cacciare? Perché non eri con noi, stamattina?"

"Oh, ho fatto un giretto...sono stato un po' qua, un po' la..." dice, mentre mi si avvicina barcollando un poco.

"E quella?" gli chiedo, indicando la tozza fiaschetta metallica che tiene in mano.

"Uno scambio...sai, un inviato speciale è sempre in grado di procurarsi quello che gli serve...roba buona, peccato solo che sia già finita..."

"Aspetta, dai, che ti aiuto a sederti. Ecco, così..." appogiandosi a me, si lascia scivolare pesantemente a terra. "Hai visto il colonnello Gott, Marc?"

"Eccome se l'ho visto!" esclama "Se no, perché mi sarei sbronzato, secondo te?"

"Non è una bella situazione, la nostra..."

"No. Decisamente no." Pronuncia queste parole con gravità, ma la sua espressione ebete da ubriaco mi impedisce di capire se sia veramente preoccupato o se mi stia semplicemente dando corda.

"Cosa pensi di fare, adesso?"

"Bha, non appena riuscirò ad alzarmi in piedi, credo proprio che andrò a cercarmi un'altra di queste. Meglio farsi scoppiare il fegato piuttosto che farsi prendere vivi dai Ratti."

"Quindi, non hai più intenzione di finire il tuo servizio?"

Una risata nervosa accoglie la mia domanda. "Umph. E a chi potrebbe interessare? "Le atrocità degli scontri a Radboon." Capirai che storia! Quando quelli del network sapranno la fine che abbiamo fatto, se le immagineranno da soli, le atrocità.

Tu, piuttosto...Mi dispiace di averti chiesto di venire..."

"No, non dirlo neppure. Io volevo venire, e tu lo sai bene quanto me."

"In effetti non c'è voluto molto per convincerti. Anche se mi è sempre rimasto un dubbio..."

"Cosa?"

"Perché sei tornato qui, Ray? Intendo il vero motivo, non la storiella che ho raccontato al direttore."

Scuoto un attimo la testa, cercando di raccogliere le idee. "Il vero motivo, dici? Non lo so. Davvero non lo so." Aspetto a lungo un suo commento, mentre il silenzio si fa sempre più pesante, dandomi il tempo per riflettere su molte cose. Più di tutto, su di un'idea

"Ho preso una decisione, Marc. Voglio rivedere il ponte."

"Uhm? Quale ponte?"

"Quel ponte. Il ponte dove sono stato ferito. Il ponte sul Kiivy."

"Ma...ma...è a più di cinque chilometri da qui! Con tutti i Ratti che ci sono in giro è troppo rischioso..."

Sorrido "Perché, questo posto è sicuro, invece?"

"No..."

"Senti, andiamoci insieme. Così potrai assicurarti che starò bene, e magari scattare un paio di belle foto della zona di guerra."

Mi fissa a lungo, sconcertato. "No...non posso. Mi stai chiedendo davvero troppo, Raymond" i suoi occhi sono di nuovo limpidi, attenti. La sbronza gli è passata di colpo "rischiare la vita...lo posso accettare, ma il suicidio è tutt'altra cosa. Perché è quello che vuoi, vero Ray? Suicidarti."

"Non è un suicidio. Il mio è solamente l'ultimo desiderio di un condannato."

"Ma forse ci verranno a prendere..." afferra pesantemente la mia spalla, cercando di trattenermi.

"Non credo. E comunque..." Mi alzo, dando le spalle a Marc per troncare la discussione. Non voglio che mi convinca a restare.

"Aspetta!" mi grida.

Ha paura. Lo sento nella sua voce, glielo leggo negli occhi. "Per me?" mi chiedo.

"Non so se potrà servirti, ma è meglio averlo..." Estrae dalla tasca un grosso revolver vecchio stile, e me lo porge tenendolo per la canna "...che farne a meno, non credi?"

Il peso della pistola nella mano destra mi da una strana sensazione, un misto di potenza e disgusto che fa girare la testa.

Sto per rifiutarla, quando mi viene in mente che i regali non si rifiutano mai. Specialmente quelli dei cari amici.

"Davvero, voi inviati speciali riuscite a procurarvi proprio di tutto."

Il sole sta sorgendo, mentre comincio il mio viaggio attraverso Radboon. L' alba è fredda, ma non come mi ero aspettato, e la brezza mattutina che mi pizzica la faccia mi fa sentire bene, pieno di energie. Cammino velocemente nel completo silenzio della città, lanciando di tanto in tanto un'occhiata alle finestre dei palazzi più alti. Qualche volta mi capita di inciampare in un sasso o in un pezzo di ferro che sbucano dal terreno, e l'aria calma per un attimo si riempie di un frastuono che poi si perde lontano, lungo i viali.

Non mi preoccupo: a quest'ora del mattino c'è sempre una specie di tregua. I Ratti sanno come sfruttare i loro occhi modificati per vedere al buio, e cercano sempre di attaccare di notte. I nostri soldati, invece, approfittano delle ore di luce per rinforzare le posizioni, recuperare i pochi feriti, fare la conta dei morti. La marcia non mi sta affaticando come quella di due giorni fa, anche perché ho voluto lasciare al centro commerciale tutto il mio equipaggiamento. L'unica cosa che mi sono portato dietro è la pistola di Marc.

Marc...

Non ci sono stati addii, fra di noi. Mi dispiace, ma semplicemente non ce n'è stato il tempo. Dopo la discussione di ieri, ho cominciato immediatamente a cercare una via per uscire dall'edificio senza farmi notare. Alla fine, ho deciso di provare con l'uscita di sicurezza del parcheggio sotterraneo. Ho aspettato che il soldato di guardia si allontanasse un attimo, e poi sono schizzato attraverso la porta il più velocemente possibile. Non credo proprio che manderanno qualcuno a cercarmi. Hanno ben altri problemi, con le aeroambulanze che continuano ad arrivare cariche di cadaveri, e i modificati che avanzano.

Mi sto avvicinando al ponte, e a quello che un tempo era il centro di Radboon.

Il paesaggio sta cambiando: qui i palazzi sono crollati completamente, lasciando la visuale libera per molte centinaia di metri. Se non fosse per la nebbia che si sta alzando, credo proprio che riuscirei a vedere il cratere lasciato dalla bomba atomica, gentile omaggio del generale Bannerman alla città.

Anche se non ho punti di riferimento, so di essere quasi arrivato, e accellero il passo. Grosse gocce di sudore mi scendono dalla fronte. Giro attorno ad un cumulo di rovine e sulla destra, nero sull'argento del fiume colpito dai deboli raggi del sole, vedo il ponte.

E' miracoloso, ma è rimasto praticamente intatto. Ce l'ho fatta, e rimango incantato a guardare quella vista splendida. Splendida almeno per me. Mille volte ho immaginato questa scena nelle ultime ore, e adesso il ponte è lì, immobile e reale davanti ai miei occhi.

Devo attraversarlo. Devo fare quello che non ho potuto fare quarantotto anni fa. Come unico sopravvissuto, lo devo a Sachs, al tenente Martino, a tutta la squadra. So che è rischioso, ma niente può impedirmi di provarci. In fondo non sono più di cento, centocinquanta metri al massimo fino all'altra riva. La nebbia si sta facendo sempre più fitta. Non mi vedrà nessuno.

Comincio ad attraversare il ponte con calma, fermandomi ogni tanto per guardarmi intorno. Il cuore mi romba in petto, eccitato dal misto di gioia e paura che sto provando. Le gambe mi tremano, e sono costretto ad appoggiarmi al parapetto per camminare.

All'improvviso, un'ombra sbuca dal nulla, macchiando il lenzuolo della nebbia, nero su grigio.

Prima ancora di pensare sono accovacciato a terra, ansimante. Mentre mi appiattisco contro il parapetto, cerco di convincermi che l'ombra non mi abbia visto, e non stia venendo verso di me. "E' solamente una sentinella di ronda," mi dico "ancora un passo e tornerà indietro."

Ma l'ombra continua ad avanzare. La mia mano destra si stringe attorno al calcio del revolver. Adesso posso sentire i monotoni toc dei passi sul cemento del ponte, insieme ad un altro strano rumore. So che tra poco l'altro mi vedrà.

Armo il cane della pistola, e l'ombra si ferma di colpo. Forse mi ha sentito.

Sparo.

Lo scoppio della pallottola è assordante, per qualche attimo non sento nemmeno i battiti del mio cuore.

L'ombra è scomparsa di colpo, lasciando spazio alla nebbia.

Mi alzo in piedi a fatica, attento al più piccolo suono. Ma solo il silenzio mi circonda, come qualche momento fa. Con la pistola ancora puntata davanti a me, mi avvicino per controllare. Vedo una specie di carretta, costruita con materiali di fortuna, carica di stracci. E vicino alla carretta, vedo il corpo di una ragazzina.

Il mio colpo le ha squarciato l'addome, uccidendola sul colpo. I suoi occhi, ancora aperti, fissano stupidamente il cielo, mentre il sangue che sgorga dalla ferita si spande tutto attorno a lei, macchiandole i corti capelli castani.

La pistola mi scivola dalle mani tremanti, mentre mi inginocchio accanto a lei.

"Mi dispiace...oh Dio mi dispiace..." mormoro.

Un suono, come un lamento gutturale, si alza al cielo. Mi volto, e vedo che c'è qualcuno disteso nella carretta, semisepolto fra gli stracci. Ha il volto coperto di escrescenze cancerose, nere e purulente. Rade ciocche di lunghi capelli bianchi spuntano dal cranio ossuto. Gli occhi... Quegli occhi...li ho già visti...la stessa espressione...la stessa strana sensazione. Non posso sbagliarmi. So che è impossibile, eppure in qualche modo sento che è vero.

E' lei, la donna Ratto che stava per uccidermi. Lei, ancora viva, dopo tutti questi anni.

La mia mano afferra la pistola, come per istinto. Il rombo del mio cuore è tanto forte da non farmi sentire i miei pensieri. Poi, per un attimo, la faccia della ragazzina mi passa davanti agli occhi. Forse era sua figlia, o sua nipote. Lei mi sta ancora fissando, con quei suoi occhi da animale, immobile. Fra di noi, la bocca del revolver.

Anch'io la scruto attentamente. Della bestiale assassina è rimasto solo un corpo rinsecchito, fiaccato dal dolore, incapace di fare ancora del male.

Non avrebbe nessun senso spararle. Non più. Abbandono le braccia lungo i fianchi, la pistola cade a terra.

"Perché?" chiedo in un sussurro.

Nessuna risposta. "Perché? Perché?" Mi alzo in piedi, l'afferro per le spalle. Adesso siamo faccia a faccia, i miei occhi fissi dentro i suoi.

"Perché? Che senso ha avuto combattere, per perdere entrambi? Perché ci siamo fatti tutto questo?" Indico il corpo della ragazza. "Perché l'abbiamo fatto a lei?" urlo.

La modificata rimane immobile, continuando a fissarmi. Poi, ad un tratto, la sua dura espressione si scioglie in lacrime. Mi chiedo quanti altri si siano fatti la stessa domanda. Forse, una vera risposta non esiste. Non è mai esistita.

Perché gli uomini non sanno capire.

Uno spasmo al petto mi fa crollare al suolo, di schianto. Per qualche attimo, la sorpresa mi strozza il fiato in gola.

Qualcosa, dentro di me, ha ceduto. Il dolore, come un fuoco, si espande rapidamente in tutto il mio corpo, poi, di colpo, svanisce. Mi sento bene, adesso. Ho solamente voglia di riposare.

Appoggiato con la schiena al parapetto del ponte, mentre tutto diventa sempre più scuro e sfuocato, mi dico che questa volta non ci sarà luce dopo il buio, nessun rimorso, nessuna colpa con cui dover convivere ogni nuovo giorno.

Dopo tanto tempo...finalmente...pace..........

Dal diario personale di Marc Trobriand:

...trovammo il corpo di Raymond a metà ponte. Chissà poi cosa era andato a cercare, laggiù. Portammo lui e le due modificate al Campo Base Uno con un'aeroambulanza (è molto strano che i Ratti ci abbiano lasciato fare, senza nemmeno provare a riprendersi i corpi delle donne) . La ragazzina è stata uccisa dalla pistola di Raymond, per quel che riguarda la vecchia...il dottore dice che le cause della morte possono essere state molte, a partire da tutti i carcinomi che quella disgraziata si portava addosso.

I loro corpi sono stati cremati al campo. La salma di Ray, invece, è stata trattenuta qualche giorno dal medico militare per l'autopsia, che poi ha confermato quello che sapevo già: semplicemente, il suo povero, vecchio cuore non ha retto alla paura e la fatica. E' stato l'unico morto di infarto nell'intero secondo conflitto di Radboon.

Se solo fossi riuscito a trattenerlo qualche ora...i rinforzi, più di duemila uomini, arrivarono nella tarda mattinata. Nessuno di noi ci sperava più, ormai, ma riuscimmo a salvarci.Solamente per Raymon era troppo tardi.

Tre giorni fa ho ricevuto una chiamata dall'ospedale militare di Orona. Nessuno aveva reclamato il corpo, e se volevo potevo andare a ritirarlo. Per il suo funerale ho speso quasi tutti i soldi che il network mi aveva pagato per la storia de "Gli ultimi giorni di Radboon." Glielo dovevo. Era un brav'uomo, e un buon amico.

Mentre scrivo queste righe, continuo ogni tanto a guardare le prime pagine dei giornali di oggi.

Un solo titolo: "Radboon distrutta".

Questa volta i militari non hanno voluto correre rischi, e non hanno usato testate strategiche: la cosa che hanno sganciato su Radboon ha lasciato un cratere più largo della città stessa. Si sono decisi a farlo quando si sono accorti che non sarebbero mai riusciti a conquistarla, perché non sarebbero mai riusciti a liberarsi dei Ratti. Quei maledetti figli di puttana sono finalmete morti tutti, e certo non posso dire che mi dispiaccia.

Sono sicuro che anche a Raymond avrebbe fatto piacere saperlo..........

Fine.

Montale, febbraio-14 dicembre 1998

NdA

Entrando nella stanza, la prima cosa che si nota è sicuramente una bassa nuvola di fumo, proveniente da una sigaretta accesa.

Attaccato alla sigaretta c'è lui. Stefano. L'autore del racconto. Sta fissando il monitor completamente bianco con espressione un po' tonta, pensando a cosa scrivere in questa nota. Le cose che vorrebbe dire sono tante, e non è facile fare una scelta.

Prima di tutto, sicuramente, ringrazierà due persone: suo padre, Benito, per le preziose consulenze militari, senza le quali il racconto non esisterebbe, e la sua ragazza, Alessia, che con la monotona filastrocca "Citami! Citami!" è riuscita malgrado tutto a spingerlo avanti anche quando sembrava che la strada fosse finita.

Rivolgerà poi un pensiero a tutti quelli, amici, parenti, conoscenti e perfetti estranei che gli faranno il piacere di leggere il racconto, e dargli un'opinione sincera.

Finite queste poche righe "di circostanza", comunque, cominceranno i veri problemi: Stefano, infatti, sarebbe tentato di spiegare al lettore il motivo per cui ha usato nomi stranieri per i personaggi, oppure perché il racconto in certi punti è così crudo, o ancora vorrebbe dare la sua interpretazione di tutte le incredibili coincidenze che si verificano nel testo.

Ma non lo farà.

Lascerà invece tutto lo spazio disponibile alla spiegazione di una cosa piuttosto insolita: la ragione per cui un racconto di sedici pagine ha richiesto otto mesi per essere scritto.

Semplicemente, perché Stefano detesta questa storia.

Nella sua visione molto particolare della scrittura, infatti, Stefano crede che, in qualche modo, tutte le storie narrate da qualcuno siano davvero accadute, in un certo tempo e in un certo spazio. E il ricordare le sofferenze di Raymond Lovelock gli provoca una tristezza profonda, un po' perché scrivendo in prima persona le ha provate sulla sua pelle, e un po' perché se ne sente responsabile.

Ma certe storie non appartengono solamente agli autori: sono come delle maledizioni, che continuano a tormentarti finchè non te ne liberi, mettendole sulla carta.

Questa nota sarà il saluto di Stefano al povero Raymond, ai modificati, ai Lupi Rossi, a tutti gli altri personaggi.

Più di tutto, sarà il suo addio all'universo in cui Radboon è esistita veramente.

Mai più tornerà a vedere cosa succede da quelle parti. E' una promessa che ha fatto a sé stesso. Una promessa che intende mantenere. Ha un solo, piccolo desiderio: che chi legge riesca a cogliere, fra le righe del testo, tutta la disperazione e la tristezza che vi sono racchiuse, e che le ricordi a lungo. Come monito. Nella speranza che, per una volta, gli uomini capiscano.

E non gli importa se tutto questo può suonare come troppo ambizioso. La sigaretta è finita, e Stefano la schiaccia distrattamente nel posacenere. Poi si stiracchia un poco, e comincia a battere sulla tastiera quello che avete appena letto.

Più o meno.